IL PROCESSO
Ma la tragedia di Alessandria apre la strada alla nascita della nuova Protezione civile
Tutto è partito dal fax spedito domenica mattina alla Prefettura di Alessandria e che nessuno ha letto. Domenica 6 novembre era il giorno in cui, nel primo pomeriggio, il Tanaro è esondato e ha provocato morte e distruzione. La catastrofe ha dei responsabili? E la comunicazione al palazzo del governo in cui si spiega, sostanzialmente, che il fiume ha allagato il centro di Asti, non avrebbe potuto, se presa in considerazione, evitare i morti e duemila miliardi di danni?
Sono solo alcune delle domande dell’inchiesta istruita, a tempo di record, dalla procura di corso Crimea e che ha portato al processo a carico di 11 persone: l’ex prefetto Umberto Lucchese, che si era dimesso alla vigilia del dibattimento, il sindaco Francesca Calvo, il capo di Gabinetto della Prefettura Paolo Ponta, l’assessore Dario Pavanello, l’ex commissario straordinario del Comune Cosimo Macrì, gli ex sindaci Giuseppe Mirabelli, Gianluca Veronesi e Giovanni Priano e gli ex assessori Margherita Bassini, Mario Corrado e Mario Todino. Un processo che però si è svolto a Milano e che si è concluso con una sentenza di assoluzione, pronunciata otto anni e 10 mesi dopo la tragedia, sia per gli amministratori che rispondevano di crollo, inondazione e disastro colposo, che per quelli che erano stati accusati anche di omicidio colposo plurimo: l’alluvione del 6 novembre 1994 «fu un evento eccezionale e imprevedibile».
L’iter processuale è stato tormentato come lo sono stati quei giorni di novembre. Il procuratore della Repubblica Carlo Brusco aveva chiesto il giudizio immediato per gli 11 imputati, ma non potrà essere il Tribunale della città a decidere. Un giudice alessandrino, che anticipa la sua intenzione di costituirsi parte civile per avanzare una richiesta danni, costringe di fatto la Procura a trasmettere gli atti a Milano, dichiarando la propria incompetenza territoriale per evitare un caso di legittima suspicione, cioè una situazione di dubbio sull’imparzialità e la serenità di chi deve giudicare riferita a motivi di ostilità ambientale. La Cassazione conferma.
8 anni e 10 mesi per concludere il processo
Nel 1995 il fascicolo sull’alluvione di Alessandria arriva dunque nel capoluogo lombardo, dove ci rimarrà a lungo. Anche perché, tra le consuete questioni procedurali che rallentano la partenza del processo e numerosi rinvii delle udienze preliminari, passano sei anni prima che il gip milanese si pronunci. È il 30 gennaio 2001: tutti gli imputati sono assolti per i delitti di inondazione colposa e disastro plurimo, a giudizio con le accuse di omicidio colposo plurimo Francesca Calvo, Dario Pavanello, Paolo Ponta e Umberto Lucchese.
Il dibattimento inizia praticamente un anno dopo, il 10 ottobre 2002, davanti al giudice monocratico della nona sezione del Tribunale di Milano. Il primo passo è la richiesta di rifiutare la prescrizione, che era scattata 5 mesi prima, per fare in modo «che si decida nel merito», avanzata dai difensori, gli avvocati Giuseppe Lanzavecchia, Vittorio Spallasso e Claudio Simonelli. I legali alessandrini sono probabilmente certi che il giudice si pronunci per un generale proscioglimento. Ci sono carte che lo fanno pensare, come le consulenze dei periti dell’accusa e la relazione del ‘Progetto Trasparenza’ del Ministero dell’Interno che parlano di un disastro eccezionale e imprevedibile. E poi c’è il proscioglimento di tutti gli undici imputati dalle accuse di disastro e inondazione colposa. Una eventuale evacuazione degli abitanti degli Orti avrebbe addirittura fatto salire il numero delle vittime: i residenti, infatti, avrebbero dovuto confluire nel vicino aeroporto definito – ma è stato dimostrato il contrario – «zona tranquilla».
La parola fine arriva il 30 luglio 2003, quasi nove anni dopo i fatti presi in esame dal Tribunale di Milano. Passa infatti in giudicato la sentenza che quattro mesi prima aveva assolto Calvo, Pavanello, Lucchese e Ponta. Nelle motivazioni si parla di assoluta imprevedibilità: «Una diversa condotta degli imputati non sarebbe stata in grado di evitare tale evento, così eccezionale da impedire qualsiasi significativo intervento utile». Anche i consulenti del pm «sebbene abbiano rilevato alcune condotte omissive non hanno precisato che un diverso comportamento avrebbe evitato le morti purtroppo verificatesi (12 quelle su cui gli imputati dovevano rispondere, ndr) e le eventuali omissioni non hanno avuto un rapporto casuale con i decessi».
Tutti colti di sorpresa dagli eventi atmosferici, dunque. Una sentenza che fa riflettere e che apre indirettamente la strada alla nascita della Protezione civile del terzo millennio. Quella degli allarmi in tempo reale.
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