TRA STALLE E CAMPI
La campagna ferita, la strage di animali. Lunardon: «La mia famiglia, ad Astuti, salvata col gommone»
ALESSANDRIA – Lunedì 7 novembre, o più probabilmente martedì 8 (il tempo non cancella le immagini, ma sbiadisce la precisione), in via Donatello, dalle parti del palazzetto dello sport, non lontano da spalto Borgoglio, c’era un vitellino legato a una corda, assicurata a un palo.
Non ci si chiedeva chi lo avesse legato, semmai da dov’era arrivato. Non risultavano allevamenti ad Alessandria…
Il vitello lo aveva evidentemente portato la piena del Tanaro. Probabilmente dalla zona di Astuti, o forse da Solero. O comunque da qualcuna delle aziende al di là dell’argine, dove il Tanaro non ha avuto pietà di nulla, animali compresi.
Aggrappati per sopravvivere ma il Tanaro ebbe la meglioÈ stata una strage di bovini. Per giorni e giorni abbiamo visto carcasse lungo i bordi delle strade e nei campi. Buoi e mucche, anche cavalli. Gli alessandrini ricorderanno quegli elicotteri che sorvolavano la città trasportando animali lasciati a penzoloni. Non poche aziende che hanno perso centinaia di capi: se è stato difficile mettere in salvo le persone, è risultato impossibile far la stessa cosa con le bestie.
Le più, legate alle catene nelle stalle, non hanno potuto resistere. Sono morte affogate, senza potersi muovere. Avranno visto l’acqua salire, impossibilitate a far leva sul proverbiale istinto di sopravvivenza. E niente: hanno dovuto darla vinta al Tanaro, lo stesso fiume che ha abbracciato, con l’acqua limacciosa, altri bovini, sballottandoli qua e là. Molti sono morti, qualcuno ce l’ha fatta, come il vitellino che un’anima pia ha legato a un palo, regalandogli la salvezza.
La strage di animali (con conseguente problema igienico sanitario) non può certamente essere derubricata a dettaglio, pur nella drammatica complessità di quel che è accaduto in quel maledetto giorno in cui Alessandria si accingeva a festeggiare il patrono San Baudolino.
È un disastro, quello che ha colpito la zootecnia, che va a braccetto col dramma del comparto agricolo. Campi devastati, colture irrimediabilmente compromesse. Scorte alimentari, destinate agli animali, che sono scomparse, in cascine invase da un fango che non ha risparmiato i mezzi necessari per la produzione, a cominciare dai trattori.
Il Settore emergenze della Caritas ambrosiana di Milano ha analizzato i dati forniti dalle Camere di commercio del Basso Piemonte. E ha redatto un report, in base al quale risultano, in provincia di Alessandria, 846 aziende agricole danneggiate, per un ammontare di poco più di 76 miliardi di danni. Sono numero che superano quelli dell’Astigiano (794 aziende; 47 miliardi e mezzo di danni) ma che nulla hanno a che vedere con quanto denunciato in provincia di Cuneo dove, notoriamente, l’agricoltura gioca un ruolo fondamentale (3.777 aziende danneggiate per più di 105 miliardi di danni).
Marco Lunardon, all’epoca, stava svolgendo il servizio militare a Novi Ligure e quel giorno era in caserma. Ora è un agricoltore alla cascina Savignosa, ad Astuti, la stessa tenuta dove, nel 1994, i suoi genitori lavoravano la terra e facevano i custodi (i proprietari erano milanesi)
Attorno, un’area pianeggiante coltivata a palate, cipolle, meloni, angurie, melanzane, peperoni… «L’acqua – racconta Lunardon – invase la cascina per un’altezza di 2 metri e 60. Attorno, tutti i campi sono stati spazzati e delle coltura invernali non si è salvato niente. È lo stesso destino che ha colpito, tra Astuti e Solero, cascine che si chiamano Gaiola, Sella, Morione, Isolabella, Mezzano…
«Alle 8.30 del mattino, l’acqua già risaliva dal cortile in ghiaia – spiega Lunardon – L’ondata arrivava da Solero, sembrava correre lungo la ferrovia, la cui massicciata è stata scavalcata verso mezzogiorno».
I famigliari sono saliti al piano superiore “dove si sono portati tutto quello che potevano”. Sono stati salvati con i gommoni, ma solo il giorno dopo. «Hanno trascorso una notte terribile, senza corrente. Si sono dovuti arrangiare con le candele. Poi hanno avuto ospitalità da parenti che abitano a Spinetta Marengo».
L’attività agricola è ripresa qui come altrove in tempi ragionevoli, anche se le ferite sono state molto profonde e durature. «A maggio dell’anno successivo – conclude Lunardon – mi è capitato di aprire un armadio, a lungo ignorato. All’interno ci sarà stato almeno mezzo metro di fango…»
© Copyright 2024 Alluvione1994.it