L'INCONTRO
Il racconto del parroco di San Michele. La nuova vita da gestore dell'emergenza. Il danno psicologico, oltre a quelli materiali. «C’è sempre un prima e un dopo alluvione»
SAN MICHELE – «Succede che alla messa delle 8 del mattino si agitano tutti. E quelli che abitano nella zona del Bivio se ne vanno a metà funzione. Che strano, mi dico».
Don Ivo Piccinini non ci mise molto a capire il perché di quell’improvviso fuggi fuggi. L’acqua stava arrivando, molto più impetuosa di quella già “rilasciata” qualche ora prima dal Loreto, un rio apparentemente senza pretese che, però, a San Michele, sobborgo di Alessandria, era solito esondare, almeno fino a quando non venne interessato da lavori di messa in sicurezza.
Sta di fatto che quella domenica mattina, si fiondò in chiesa qualcuno che avvisò dei possibili rischi. Cosicché molti fedeli se ne andarono. Don Ivo concluse la funzione, pronto a celebrarne un’altra, alle 10 alla parrocchia dell’Annunziata, in borgo Cittadella. Non riuscì ad arrivare, per l’allagamento di via Giordano Bruno. Tornò a San Michele in tempo per il terzo impegno di giornata, quello delle 11: tra i banchi poche persone, le sole che erano riuscite ad arrivare…
Quel 6 novembre cominciò un’altra delle vite di don Ivo, classe 1944, originario di Cingoli in provincia di Macerata, a San Michele dal 1976. Iniziò quel dì la vita da coordinatore dei soccorsi, di distributore dei beni di prima necessità, ma anche di psicologo, perché la catastrofe certamente lasciò in eredità ferite materiali, a lungo visibili, ma non si possono trascurare neppure quelle che intaccarono menti e cuori. Non per un mese, non per due, ma per molto, molto più tempo.
Al circolo Acli, vicino alla chiesa, oggi c’è il viavai di una giornata caratterizzata dai centri estivi. Incontriamo bambini festanti che, nel 1994, non erano neanche un’idea. Ci troviamo a un tavolino, con una bibita ristoratrice e molto da raccontare (lui) e da ascoltare (noi).
«L’alluvione – ricorda il sacerdote – innescò una paura comprensibile: quella di rimanere senza. Senza mobili, senza cibo, senza vestiti. Tant’è che, quando si distribuivano i beni di prima necessità, c’era chi faceva incetta di tutto il possibile. Un atteggiamento del genere, comunque, lo si può capire. Noi riuscimmo a organizzarci in modo efficace, ad esempio con il recapito degli elettrodomestici. Venivano consegnati a domicilio, e pagavamo noi della parrocchia, che nel frattempo avevamo ricevuto aiuti economici. Conservo tutti gli scontrini, rilasciati dall’emporio al quale ci rivolgemmo e che da noi incassò circa un miliardo di lire. E che, quando chiedemmo un fon, ce lo fece pagare…».
È un sassolino che si toglie dalla scarpa, a trent’anni di distanza (l’emporio in questione ha chiuso da tempo…), una macchia scura in un quadro roseo di esempi virtuosi: «Ricordo di famiglie che rifiutarono il nostro contributo, dicendoci con estrema onestà di avere già ricevuto soldi dal Comune e che, quindi, non sarebbe stato giusto beneficiare di ulteriore denaro».
Si commuove, il parroco.
Torna indietro con la memoria. È una collezione di ricordi, dall'acqua di quella domenica mattina, preceduta dall'abituale straripamento del rio, al fango da spalare, senza dimenticare le due vittime del sobborgo, Riccardo Raschio (classe 1928) e Angiolina Faà (1921): abitavano in via Quaglia, a cento metri di distanza l'una dall'altro. La corrente li sorprese mentre tentavano di mettersi in salvo. I loro nomi spiccano su una lapide che, nel 1999, venne posizionata sul muro esterno della chiesa. Non dimentica, don Ivo, che sarebbe bastato che qualcuno si fosse accorto del telefax arrivato da Asti, città che, nella notte, era stata allagata dal Tanaro. Ad Alessandria ci si limitò a chiudere al transito il ponte Cittadella e a monitorare il fiume, quasi con più curiosità che preoccupazione. E la Protezione civile, che ora è un'eccellenza alessandrina e che ha sede proprio a San Michele (all'ex istituto di coniglicoltura, in direzione Quargnento), era “ancora giovane”, per riprendere le parole citate nel libro 'La Chiesa e la piana', che don Ivo ha pubblicato, nel 2024, con Piercarlo Fabbio e Natalino Ferrari. Nel volume (640 pagine) dedicato al sobborgo, un mix di storia e cronaca, si racconta di quei giorni drammatici, dei trattori utilizzati per salvare cose e persone, di quelli che si erano rifugiati sui tetti (e sarebbero stati recuperati con gli elicotteri), dell'impegno incessante dei vigili del fuoco...
E poi c'è da dire della complessa macchina dei soccorsi, dell'apporto dato da Radio Voce Spazio, l'emittente diocesana che ha sede davanti all'Acli, nei locali parrocchiali. E, appunto, dei “gestori dell'emergenza” che avevano come riferimento una roulotte diventata ufficio, con responsabile Pier Giuseppe Rossi, comandante della Polizia municipale di Valenza. Stazionava nei pressi del circolo. Qui veniva chi aveva bisogno e chi poteva dare. «Abbiamo conosciuto decine e decine di persone generose – rievoca don Ivo – Penso a quelli arrivati dalla Valtellina, al folto gruppo di Colnago, e naturalmente agli obiettori della Caritas ambrosiana. C'è anche chi è arrivato qui dalla Sardegna per portarci un canotto a motore. E Beppe, uno di loro, è tornato di recente per salutarci, a testimonianza di come il tempo non ha affievolito l'amicizia con molti di quelli che decisero di aiutarci”. Una domenica, anche il sindaco di Rozzano, città del Milanese, venne a spalare fango. La settimana tornò, con 7 milioni di lire, soldi che aveva incassato grazie a volontari che, a fronte di un’offerta, si erano messi a lavare le auto dei loro conterranei. E poi ci sono pure i fans club dei Nomadi da celebrare: «Quello di Parma, in un concerto a Verona, fece dedicare a noi di San Michele una canzone, che si intitola ‘Il paese’: un piccolo gesto, ma molto apprezzato». Si commuove quasi, il sacerdote. Che, dopo qualche istante di silenzio, dice: «Per un bel po' di tempo si è continuato a fare riferimento a un prima e a un dopo l'alluvione, esattamente come poi sarebbe successo col Covid. Significa che l'evento ha condizionato l'esistenza di tutti».
Ci lasciamo alle spalle il circolo Acli, per spostarci in via Remotti.
Non lontano dalla chiesa, il rio Giardinetto e il rio Maddalena si uniscono nel rio Loreto, il cui greto è stato ampliato, contestualmente al rifacimento del ponte che dà accesso al sagrato della parrocchia. «Però, come spesso si dice, i corsi d’acqua si ricordano del loro tragitto originario – aggiunge don Ivo – E così il rio Giardinetto, il cui corso venne deviato per ragioni di sicurezza, tenta di continuo di tornare dov’era, col rischio di vanificare le opere svolte. Inoltre, a novembre 2004, a causa dello straripamento dei rii, fummo interessati da un’alluvione peggiore di quella del 1994. Per fortuna, però, venne coinvolta solo la chiesa…».
Si cercò di tamponare con i sacchi di sabbia inviati, già anni prima, dalla Protezione civile. Un generoso regalo che sarebbe stato utile molte volte, e che non è mai finito in uno scantinato dimenticato…
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