LA TESTIMONIANZA
Il racconto di Annamaria Icardi, costretta a partorire a Novi. «All'ospedale di Alessandria mancava anche l'acqua. A Valle San Bartolomeo le carcasse di animali»
ALESSANDRIA – Se una venuta al mondo è una letizia per genitori, nonni e parenti tutti, la nascita di Enrico, datata 9 novembre 1994, è stata qualcosa in più. Un toccasana, una benedizione, un’occasione fantastica per spostare l’attenzione. Che, altrimenti, sarebbe stata indirizzata esclusivamente su problemi derivati dall’alluvione che mise in ginocchio il Piemonte.
Enrico Sellitto è figlio di Annamaria Icardi, che lavora nella segretaria della direzione generale dell’Azienda ospedaliera universitaria di Alessandria e che, anche all’epoca, era dipendente dell’ospedale. Dove avrebbe voluto partorire, assistita dal dottor Roberto Chiapponi, il suo ginecologo.
Ma accadde quel che sappiamo. E i piani di Annamaria, dunque indirettamente anche quelli di Enrico, vennero stravolti.
«Abitavo a Valle San Bartolomeo – racconta la donna, a trent’anni di distanza – e il sobborgo era isolato. Mancava la luce, e c’erano allagamenti fino alla zona dell’ex grissinificio Costazzurra. Inoltre, non solo sarebbe stato complicato raggiungere il Santi Antonio e Biagio, ma lì non avrei più potuto trovare l’assistenza necessaria. Chiapponi, quel 6 novembre, mi disse che aveva appena fatto nascere un bambino, ma che i disagi erano un’infinità, compresa la mancanza di acqua. Fu lui a consigliarmi di recarmi altrove, suggerendo qualche struttura della Lombardia oppure il San Giacomo di Novi Ligure. Dove andai, perché Novi era la città in cui abitava mia sorella».
Nessun pentimento. «Affatto, ho trovato cordialità e grande organizzazione, malgrado l’ospedale dovesse far fonte a un importante carico di lavoro dovuto al fermo dell’attività alessandrina».
Una volta partorito, l’ingrandita famiglia di Annamaria si trasferì provvisoriamente a Santo Stefano Belbo, dove risiedevano i genitori e il fratello, quel Luigi Icardi assessore regionale alla Sanità fino alla scorsa primavera.
«Santo Stefano aveva subito lo straripamento del Belbo, c’era fango dappertutto – ricorda – Sono stati momenti difficili, superati grazie anche al volontariato, davvero encomiabile, e a persone che, nella disgrazia, si sono coalizzate, collaborando vicendevolmente». Ci sono immagini che la signora non dimentica: «Mio papà aveva una Y10 che trattava come un gioiello: la corrente se la portò via, fin contro la scalinata della chiesa del paese. E ricordo anche quando mio fratello e mia cognata vennero a trovarmi: tutti infangati, sembravano profughi. Mi fecero grande tenerezza».
Era stato Luigi, la sera del 5, a mettere in guardia: «Mi telefonò chiedendo come fosse la situazione a Valle San Bartolomeo, perché a Santo Stefano Belbo, per l’abbondanza di pioggia e gli straripamenti, erano già a bagno. Ci stupimmo, io e mio marito. E, per tutta la notte, monitorammo la situazione, mai immaginando quello che sarebbe successo. Tutto impressionante, come quelle carcasse di bovini, a zampe all’aria, che sarebbero affiorate, per alcune settimane, nei campi che fiancheggiano il rettilineo tra Valle e l’incrocio per Alessandria».
In quei giorni, però, dramma e letizia andarono a braccetto. «Diciamo sempre che il nostro Enrico è emerso dalle acque», mormora Annamaria. È una battuta, con un fondo di verità.
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