IL CENTRO CHE CAMBIA VOLTO
Durante l'emergenza, una mappatura di vie e vecchi cortili per scoprire i bisogni di chi abita la parte più antica di Alessandria
Lo storico nucleo cittadino, nato attorno all’antica chiesa di Santa Maria di Castello, ha portato per mesi i segni dell’alluvione. Segni che si vedono e si sentono: un striscia di color marrone sui muri delle case, a circa due metri d’altezza e la puzza di gasolio che ammorba le vie. Qui il Tanaro è entrato nei cortili delle vecchie abitazioni su cui si affacciano i ballatoi che si animano di voci a ogni ora del giorno.
Si sono zittiti nel primo pomeriggio del 6 novembre ’94 per poi rianimarsi – i cortili almeno – quando sono entrati in azione i volontari e poi gli alpini giunti da mezza Italia che hanno portato via quintali di fango, il primo passo sulla strada della normalità.
I danni sono stati ingenti, ma la voglia di ripartire altrettanto forte. E così proprio da Borgo Rovereto ha preso forma la rinascita del centro storico. Anche perché, oltre alla macchina della solidarietà, si è messa in moto quella del governo, che ha garantito i fondi per la ricostruzione.
I numeri, più volte citati, parlano chiaro: nel ’93 il Comune aveva impegnato dai 6 ai 7 miliardi di lire per le opere pubbliche, dopo l’alluvione ne verranno stanziati 30-40 all’anno. Sono quelli che consentono di mettere in atto il progetto di restyling della città. Ne verranno erogati complessivamente 192: 72 miliardi per i privati, 120 per opere pubbliche e prime e seconde case, a cui se ne devono aggiungere altri 40 per i ponti.
Il centro di Alessandria – in particolare la parte più antica della città – si è trasformato in un cantiere in continua evoluzione. I numeri, ancora una volta, danno l’idea dello sforzo compiuto dai privati per rialzare la testa, per cancellare i segni del Tanaro, per rientrare nella propria abitazione o per rimettere in moto la propria impresa. Secondo i dati diffusi dall’Ascom un anno dopo la devastante esondazione, sono state 1.400 le aziende che hanno denunciato danni, una miriade di piccole attività colpite, in molti casi, in maniera irrimediabile.
1.400 Le attività commerciali che, un anno dopo l'alluvione, avevano denunciato di aver subito danni
Ottenere i finanziamenti non è però stato semplice, perché la macchina dei risarcimenti ha viaggiato a due velocità: molto più rapida a erogarli a beneficio del settore delle grandi opere, decisamente più lenta per le piccole imprese. C’era però l’esigenza di ristrutturare la casa danneggiata o i locali dove si svolge la propria attività e così, in attesa di avere i soldi in banca, molti privati si sono portati avanti e hanno fatto da sé, con le proprie risorse, senza aspettare quelle promesse dalle diverse amministrazioni.
Gli alessandrini hanno riscoperto in quel frangente la loro proverbiale concretezza, associata a una buona dose di scetticismo che è un’altra e altrettanto nota componente del loro carattere. Concreti e rapidi, gli alessandrini, a trovare un’impresa che si accolli i lavori, anche a costo di aggirare le regole: del resto la legittima necessità di rendere nuovamente abitabile casa propria fa passare in secondo piano regolamenti e fatture.
Nell’emergenza del dopo alluvione era partita un’altra iniziativa dell’amministrazione comunale, nata anche per l’esigenza di dare assistenza a chi abitava in quelle vecchie case e capire come intervenire con maggiore urgenza, perché le storie di degrado già conosciute ai Servizi sociali avrebbero potuto aumentare a causa della difficoltà di raggiungere le persone e conoscerne i bisogni.
Era stata così avviata una sorta di mappatura socio-economica del centro, frutto di una collaborazione tra Circoscrizione e assistenti sociali, per far emergere i bisogni di chi non vuole mostrarli ai vicini, come se la povertà fosse una croce da portare da soli. Vengono passate in rassegna le vie Milano, Inviziati, Volturno, Sant’Ubaldo, Guasco, la zona di piazza Santa Maria di Castello. Il censimento-lampo sarebbe servito per sapere – dove possibile – come intervenire con maggiore urgenza.
Ha fatto emergere storie di famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà, in alloggi dove per accendere una stufa piazzata al centro di uno stanzone comune si spaccano i mobili per mancanza di legna. In questi casi, l’alluvione ha creato una ulteriore emergenza che si è cercato di gestire, nell’immediato, con il materiale distribuito dai volontari nei punti di raccolta, dal cibo al vestiario.
Poi Alessandria ha ripreso a mettersi in marcia e la zona più degradata ha cambiato volto con il passare dei mesi e degli anni. Cancellando i segni della catastrofe del 1994 ma, in molti casi, cambiando anche il volto di quelli che ci vivono. Il recupero degli edifici si trasforma in un affare per le agenzie immobiliari o per chi dispone di liquidità ed è pronto a servirsene nel mattone, per l’83% degli italiani un bene rifugio. E così il vecchio borgo torna a brillare come non è mai accaduto nella corso dei secoli.
Con i fondi della ricostruzione si riesce a voltare pagina, a dimenticare le case fatiscenti devastate dalla piena, ma anche le persone che le abitavano.
«Proprio da Borgo Rovereto è partita la rinascita del centro storico. Anche perché, oltre alla macchina della solidarietà, si è messa in moto quella del governo, che ha garantito i fondi per la ricostruzione»
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