UNA STORIA CITTADINA

I ponti sul Tanaro dalla fondazione all'Ottocento

Elemento essenziale della comunità fin dalla sua nascita. I tanti interventi di ricostruzione dovuti ai danni inferti dal fiume

Il ponte sul Tanaro è elemento essenziale di Alessandria fin dalla sua nascita. Non a caso, una delle più antiche immagini della città, riportata nel Codex Astensis, lo pone in primissimo piano, a volere sottolineare la funzione primaria che svolge nel tessuto urbano di una città divisa in due. Nell’XI secolo, in prossimità dell’ansa del fiume, si suppone esistesse già un ‘porto traghetto’, un sistema di barche e corde che permetteva di attraversarlo. La costruzione del primo ponte di legno è documentata l’8 novembre 1168. 

Per secoli, fino alla fine dell’Ottocento sarà l’unica via di collegamento della città con l’area al di là del Tanaro: un perno essenziale per le vie di comunicazione di un centro urbano che, come ha ben spiegato lo storico Geo Pistarino, sorge proprio per la sua posizione strategica nelle arterie commerciali dell’epoca.  

Il ponte svolge un triplice ruolo fondamentale:

  • per gli abitanti che transitano da una parte all’altra della città, divisa in due dal fiume;
  • per il commercio con merci che arrivano dal contado ma anche da terre molto lontane;
  • per gli eserciti che devono attraversarlo.   

Proprio per queste funzioni essenziali, sono tante le testimonianze documentarie relative alle strutture costruite attraverso i secoli sul Tanaro. Le prime risalgono già agli anni immediatamente successivi alla fondazione della città. In un atto del 1184 l’imperatore Federico I, accogliendo la città sotto la sua protezione, si riservava la riscossione del pedaggio. Altri documenti del XII e XIII secolo confermano l’esistenza del ponte, ricordando come il passaggio di persone e merci sia soggetto a pagamento di pedaggi.

 

La riscossione inizialmente è riservata all’erario imperiale ma successivamente diventa oggetto di transizione tra i signori che hanno il dominio sul territorio e la città. Non c’è un documento che attesti l’anno in cui gli alessandrini riescono a impadronirsi definitivamente del controllo del ponte e dei relativi pedaggi. Il primo testo che conferma questo mutamento è un atto notarile del 1286 da cui risulta che ormai il Comune può addirittura permettersi di cedere la riscossione del pedaggio a un privato in cambio di un credito che quest’ultimo vanta nei suoi confronti. Questa importante conquista degli alessandrini viene ribadita dagli Statuti del 1297 in cui viene stabilito che sul ponte non può essere riscosso altro pedaggio oltre a quello pertinente al governo locale. 

La situazione non cambia quando la città entra nell’orbita dei domini viscontei. Il Ducato milanese infatti lascia al Comune il controllo del pedaggio, come testimonia l’annalista Lumelli nel suo ‘De origine civitatis Alexandriae ab anno suae fondationis 1168 et successive usque ad annum 1586’. 

Il modo in cui viene esercitato il controllo del ponte può anche indicare quale siano le forze più importanti in città. Così sino a metà del Trecento, la riscossione del pedaggio, come altri dazi comunali, viene lasciata al potente Ordine dei frati Umiliati, che sovraintendono  alle acque pubbliche e in tale  veste realizzano anche un canale d’irrigazione, derivandolo dal Bormida in territorio di Gamalero. Sempre nel XIV secolo vengono costruite le rocchette sulle sponde opposte del Tanaro. 

Per tutto il Medio Evo il ponte sarà una semplice passerella di legno, come viene rappresentato dal citato Codex Astensis. Ma nonostante ciò,  le tante citazioni dimostrano quanto comunque è importante per la città.

Il ponte di muratura

La decisione di realizzare un ponte di pietra e coperto segna una cesura importante nella storia di una città e costituisce una vera epopea, una lotta che continuerà per decenni contro la rabbia del fiume.   

Le tappe di questa impresa sono ricostruite da Nicola Vassallo su ‘Rassegna Economica’ n. 4 del 1995 e da Antonella Perin in un saggio pubblicato sul volume ‘Alessandria scolpita’ 

Nel 1450 il duca Francesco Sforza accoglie la richiesta del Comune, concedendo agli alessandrini per tre anni il dazio della scannatura (cioè dei macelli) per impiegare gli introiti nella sua  costruzione. Il progetto viene approvato dal magister Pietro Barchino, sovraintende ai lavori in qualità di commissario ducale Abramo de Ardiciis.  La costruzione dell’opera però incontra tantissimi problemi a causa delle distruttive piene del Tanaro.

 

L’11 ottobre 1455 il primo pilone è stato ultimato ma negli anni a seguire la struttura soccomberà più volte alla furia delle acque: già nel 1463 subisce un grave crollo. All’inizio degli anni Settanta, l’incarico di dirigere i lavori è affidato al magister ‘Guiniforto de Solaro inzignero’. Una scelta indicativa dell’importanza data dal duca Sforza al lavoro. Guiniforto è un suo uomo di fiducia, architetto della Certosa di Pavia, del Duomo e dell’Ospedale Maggiore di Milano. Alla sua morte nel 1481 subentra il figlio Pietro Antonio, altro personaggio di rilievo: alcuni anni dopo andrà a Mosca per partecipare alla ricostruzione del Cremlino. L’importanza del ponte per il Ducato di Milano è data non solo dalla funzione di transito ma anche dal punto di vista militare per l’esistenza alle due testate delle rocchette. 

 Nel 1485-86 il Tanaro distrugge ben quattro delle undici arcate. Per cercare di porre rimedio, il Consiglio Generale mette a pegno per cinque anni la rendita del Comune, obbligando ogni persona della città e del territorio, compresi  gli stranieri, a prestare l’opera manuale di un giorno, o per sé o per gli altri, con requisizione di tutte le bestie da carico o da tiro per questo servizio.  Il cantiere si chiude tra il 1488 e il 1489 con la realizzazione della copertura. Una parte della struttura però è ancora in legno, come dimostrano documenti comunali del 1496 e del 1500.   

 

Il nuovo ponte deve subire con frequenza la furia del Tanaro. Nel 1496 è sommerso da una grande alluvione che costringe l’anno dopo il Comune ad affidare l’appalto per nuovi lavori. Nel 1509 subisce nuovi danni e il 13 agosto 1542 due arcate vengono travolte. Nel 1569 si registrano  gravi problemi alla struttura per  un’altra esondazione e nel 1574 iniziano i lavori di ricostruzione. Dalla documentazione esaminata dalla studiosa Antonella Perin nell’archivio ducale di Milano, la direzione del cantiere è affidata a Pellegrino Pellegrini, figura di primo piano del panorama architettonico dell’epoca. L’appalto va prima a Francesco Cattaneo detto il Pacchiala o Passalla, Giovanni Paolo Cattaneo e Pietro Antonio de Brochis. L’anno dopo Marco Inviziati sovraintende ai lavori mentre l’impresario è Antonio Sarracho. Successivamente sono documentati ritardi nell’esecuzione dell’opera e lunghe controversie con l’appaltatore. Nel 1578, apparendo critiche le condizioni del ponte, viene elaborato un progetto di sistemazione da parte di Giovanni Guglielmo Trontano. 

Intanto le piene del Tanaro non danno tregua: nel 1584 le sue acque distruggono un terzo di quanto è stato ricostruito. Nel 1588 finalmente il ponte è completato, il collaudo viene svolto dall’ingegnere Roberto Clarici. 

All’inizio del XVII secolo sorgono nuovi problemi. Tra il 1603 e il 1604 sono necessari lavori per riparare il pavimento e la copertura. Si svolgono sotto la guida dell’impresario Pietro Ciceri di Milano, mentre il collaudo è affidato all’ingegner Tolomeo Rinaldi. Ciceri lavora ancora al ponte alcuni anni dopo per portare rimedio ai danni causati nel 1618 dal passaggio delle artiglierie. 

La costruzione della Cittadella nel Settecento assegna un ruolo ancora più importante al ponte, che inevitabilmente resta legato al sistema di sicurezza della fortezza. Così durante l’assedio dei franco-ispanici del 1745 vengono fatte saltare due arcate. Dopo la guerra si predispone un progetto di rifacimento da parte dell’architetto Domenico Caselli ma successivamente, tra il 1774 e il 1778, viene ricostruito ad opera dell’ingegnere Giovanni Battista Gianotti: nel 1780 sarà completata anche la copertura.

Da Napoleone al Rinascimento

Una relazione presentata dall’ingegnere Giulio Leale, assessore ai lavori pubblici, il 4 novembre 1879 in Consiglio Comunale (il testo è nell’Archivio storico comunale, depositato in Archivio di Stato) documenta un progressivo peggioramento della situazione del Tanaro a causa degli interventi di carattere militare nella prima metà dell’Ottocento.   

Nel periodo napoleonico viene chiusa la decima arcata del ponte, la prima verso la città, allo scopo di formare una conca per la navigazione. L’opera non ha gli effetti sperati ma in compenso restringe la luce del ponte, provocando rigurgiti delle acque. A peggiorare ulteriormente la situazione intervengono le pile aggiunte in seguito per consentire la collocazione di saracinesche che devono deviare le acque nel fossato della Cittadella in caso di assedio. Conseguenza di queste opere è che, anche in occasione di ‘crescenze ordinarie’ le acque del Tanaro arrivano a invadere la piana di San Michele, come già segnala l’architetto civico Leopoldo Valizone in una relazione del 15 ottobre 1846.  

 

Alle opere realizzate dai francesi si aggiungono quelle del governo sabaudo, che, secondo il documento di Leale,  sono ancora peggio. Si tratta dei lavori di difesa a sinistra del fiume, prima del ponte, dell’Opera Valenza e dell’isolotto Galateri e di un argine a protezione della strada Regia di Torino. I risultati di questi interventi si fanno sentire già nel 1845. Leale scrive di  «una grave corrosione nella sponda destra alla regione degli Orti, la quale fu motivo di lagnanze e ricorsi da parte di quei proprietari». È l’alluvione del 2 ottobre 1846 a dimostrare la gravità della situazione, colpendo soprattutto gli Orti mentre la città risente del rigurgito a causa dei condotti: il Tanaro per la prima volta sente gli effetti del restringimento della luce del ponte, dell’impedimento dell’isolotto  e dell’elevazione dell’argine a difesa della Strada Regia. Il rigurgito è  grande e l’acqua arrivo all’altezza di 4,60 metri dell’idrometro, posto dalla Direzione del Genio Militare. 

Secondo Valizone è necessario compiere diversi interventi, tra cui ristabilire l’antica luce del ponte e aprire un diversivo verso San Michele. Per affrontare la questione viene formata una prima commissione tecnica governativa nel 1846 e una seconda nel 1852. Nel frattempo nel 1850 terminano i lavori per la costruzione del ponte della ferrovia che, secondo Leale, rende più difficile la situazione. Il ponte della Cittadella viene privato nel 1848 della sua tradizionale copertura per esigenze militari.  La commissione il 29 aprile 1855 presenta ufficialmente le sue proposte, tra cui il ripristino della decima arcata e la costruzione di opere a difesa della riva tra i due ponti e lungo la tratta dell’isolotto. Per la difesa degli Orti propone la costruzione di argini e ripari e la demolizione della chiusa dei molini del Cristo per abbassare l’alveo del fiume. Il Congresso permanente di acque e strade approva solo i progetti per la difesa degli Orti, lasciando ogni altra decisione al Real Genio Militare.  

Intanto l’allarme cresce con l’alluvione del 20 ottobre 1857: l’acqua si innalza all’altezza di 5,10 metri dell’idrometro, superando il rilevato della ferrovia e allagando San Michele. L’amministrazione ferroviaria allora decide di rialzare il suo ponte che in effetti alla grande alluvione del 1879 non sarà più sommerso.

L'alluvione del 1879

La grande alluvione del maggio 1879 travolge il quartiere Orti e ha conseguenze importanti per l’area della città intorno al Tanaro, portando all’abbattimento tra le polemiche del ponte.  La descrizione del disastro è raccontata in modo dettagliato su L’Avvisatore alessandrino del 29 maggio 1879: «L’inondazione si estese a destra e sinistra del Tanaro. L’acqua in alcuni siti sormontò gli argini, minacciò quella della ferrata, e l’allarme, lo spavento fu generale. Fu un salva salva! Alcuni gettarono grida di sconforto, salirono sui tetti, sugli alberi, si ricoverarono su piccoli altipiani.

L’autorità subito di buon mattino, mentre tutto era ancora buio, ordinò un attivo servizio di soldati. Gran parte di truppa del presidio s’adoprò con coraggio e abnegazione a formar dighe, a innalzar ripari. Nel sobborgo degli Orti, dove l’acqua passava a torrenti, alcune famiglie vennero poste in salvo su barche. Intanto il fiume andava sempre più crescendo. Si videro trascinati dalla infuriata corrente buoi aggiogati, buoi legati al carro, maiali, legna, utensili, cataste di fiene, due culle vuote che accrescevano la paura e destavano la commozione della folla immensa che si accalcava sul ponte, lungo la riva verso il sobborgo degli Orti, a contemplare trepidante il terribile spettacolo di quell’enorme massa d’acqua, che si avanzava imponente occupando un vastissimo letto! La tetra malignità del tempo non dava segno di rabbonirsi e si temeva l’allagamento della città.

Infatti nella località prima di giungere al ponte della Cittadella, il fiume uscì dal suo letto ed inondò il viale di circonvallazione all’altezza di 60 cm., e senza una diga costruita dalla truppa l’acqua sarebbe certamente penetrata nella città. Alcune cantine si andavano riempiendo per rigurgito delle acque dei condotti sotterranei. Due cortili dell’ospedale civile avevano l’acqua a circa due metri di altezza; una parte di via dei Mercati era allagata e i cittadini s’adopravano con ogni sforzo, costruendo dighe e ripari per tenere lontano l’acqua dalle case e dalle botteghe.

L’ansia dei cittadini era sempre crescente, perché mentre verso le ore 4 pomeridiane il Tanaro continuava a gonfiare, il cielo si faceva fosco e tutto minacciava la ripresa delle piogge diluviane. Intanto alcuni dispacci da Asti all’autorità annunziavano che le acque continuavano a crescere. Le campagne del territorio alessandrino vicine al fiume vennero tosto allagate. Si trattava di tagliare l’argine della ferrovia per salvare la città. Si vedevano sempre trasportati dalla corrente animali e legnami. Due vacche erano tratte in salvo. Lo spavento si era poi fatto generale nel sobborgo degli Orti; questa località venne inondata alla lettera: la vastissima piazza d’armi vicina si tramutò in un lago.

Tutte le case avevano l’acqua sin quasi al primo piano: parecchie minacciarono rovina: tre casupole si sfasciarono. Molte famiglie si posero in salvo riparando in città. Coloro che o per infermità o per l’età non potevano passare nell’acqua, furono con veicoli o barche tragittati. Facevano compassione i vecchi cadenti, le madri atterrite stringersi al seno i bambini!».

 

Molte famiglie devono essere acquartierate nei giorni successivi in un locale messo a disposizione dal Comune.  

Il 4 novembre l’assessore ai lavori pubblici, l’ingegnere Giulio Leale, presenta in Consiglio Comunale una dettagliata analisi delle cause dell’alluvione che finisce per essere una vera e propria accusa agli interventi militari e statali avvenuti sul Tanaro e sul ponte della Cittadella dall’epoca napoleonica in avanti. Il Consiglio Comunale chiede al Ministro della Giustizia di realizzare gli interventi che erano già stati chiesti dalla Commissione comunale del 1852, tra cui figura anche il ripristino della decima arcata, chiusa nel periodo napoleonico. Allo stesso tempo si esprime a favore della creazione di un consorzio per la costruzione di nuovi argini. L’intervento sul ponte è ritenuto spettante allo Stato che con i suoi precedenti lavori ha reso insicura la situazione della città.  

Nulla però va come previsto. Nel 1880 viene costituito il consorzio tra Comune, Stato e proprietari per realizzare gli argini. Due anni dopo i costi risultano aumentati e i privati allora si oppongono. La pratica così si impantana fino a quando verrà riaperta nel momento in cui si deciderà di costruire il ponte degli Orti. 

Per quanto riguarda la decima arcata,  la richiesta cadrà nel vuoto.  Invece, tra le polemiche, si finirà per abbattere il ponte.

Il nuovo ponte della Cittadella

Sul ponte il Comune non può intervenire direttamente perché, in base alla legge delle opere pubbliche del 20 marzo 1865, è passato in proprietà, insieme alle strade provinciali, alla Provincia. È proprio questo ente a diventare protagonista della vicenda, grazie a Ludovico Straneo, all’epoca suo capo dell’ufficio tecnico (nel 1883 diventerà ingegnere capo del Comune). Per lui la soluzione da adottare è la demolizione per costruire un ponte più moderno e adatto alle esigenze di una città in crescita. Nuovi piloni posti ad uguale distanza avrebbero preso il posto delle vecchie arcate di lunghezze diseguali e pericolosamente non abbastanza ampie, favorendo il passaggio delle acque. Inoltre il vecchio ponte presenta dei problemi per il passaggio del tramvai: non è abbastanza largo e il primo tratto è in salita.  

 

Contrario all’abbattimento è il principale giornale della città, L’Avvisatore Alessandrino. Al progetto di Straneo contrappone quello della prima giunta Moro, predisposto dall’ingegnere Bistolfi, che si propone di allargarlo a dodici metri. ll tramvai dovrebbe passare su una struttura di ferro, sorretta da rostri a monte delle pile. Il giornale in particolare contesta la spesa, con un terzo a carico del Comune. I soldi avrebbero potuto essere stornati per un nuovo ponte agli Orti, per ora interamente a carico dell’amministrazione municipale. L’Avvisatore del 21 dicembre 1889 denuncia in Straneo e nei dirigenti della Provincia un’ideologia del nuovo, che, in nome di criteri di ‘moderna eleganza’, sacrifica una parte importante di storia alessandrina con la «vandalica distruzione del vecchio ponte» che avrebbe potuto durare «altri cinque secoli». 

Il Comune cerca di resistere, bloccando per alcuni anni la pratica sulla questione del contributo che dovrebbe versare, come ricorda polemicamente il giornale La Lega dell’8 dicembre 1889.  

Il 30 aprile 1888 viene firmato l’accordo tra Provincia, amministrazione municipale e i concessionari del tramvai. Il 12 aprile 1889 si arriva alla stipulazione in prefettura della convenzione tra Provincia, Demanio, amministrazione militare e Comune per la costruzione del nuovo ponte. L’accordo tra Provincia e Comune deve però essere rivisto perché non tiene conto del fatto che la struttura appartiene alla prima dal 1865. 

 Nel 1889 il vecchio ponte viene demolito e il 18 dicembre 1891 si tiene l’inaugurazione di quello nuovo.

Il ponte degli Orti

Il ponte degli Orti viene considerato necessario già nel periodo risorgimentale. È fondamentale per aprire nuove linee di comunicazione di una città che si sta ingrandendo ed è capoluogo di una grande provincia. Ma la sua realizzazione non è facile e viene rinviata per moltissimo tempo. Inizialmente è bloccato dal conflitto che oppone Alessandria alle altre città della provincia nella lotta per procacciarsi le risorse disponibili.

Nei giochi di potere dell’epoca il Comune incontra un avversario decisamente ostico in Ercole, deputato di Felizzano  e vicepresidente dell’amministrazione provinciale, che si fa interprete degli interessi delle aree rurali. Questo lungo periodo di forzata stasi è ricordato polemicamente dall’Avvisatore Alessandrino del 31 maggio 1888: «Ricordatevi bene che da trent’anni   si tratta di darci un secondo ponte sul Tanaro, agli Orti, secondo il progetto dell’ing. Pera, morto privo della consolazione di vedere eretta l’opera sua, utilissima alla sua Alessandria». 

Il 20 agosto 1885 la Deputazione provinciale finalmente costituisce un Consorzio con i comuni di Pavone, Pietra Marazzi, Montecastello, Rivarone, Bassignana e Pecetto. Ma la pratica non va avanti e si impantana. Per Alessandria però è troppo importante avere un altro ponte sul Tanaro. Così va  avanti per conto suo: il 10 gennaio 1887 il Consiglio Comunale ha comunicazione della decisione presa d’urgenza dalla giunta di costruirlo. L’anno successivo, l’ufficio d’arte del Comune presenta agli amministratori tre progetti: due per una struttura metallica e uno in muratura. Il Consiglio Comunale sceglie quest’ultima soluzione perché permette di fare assegnamento sulla resistenza e sovraccarichi  maggiori, offre  una maggiore ampiezza di transito e assicura meno spese per la manutenzione. Altre tre proposte di strutture in metalli avanzate da una ditta di Savigliano vengono bocciate.  

 

La costruzione del ponte incontra  una decisa opposizione da parte dell’ingegnere capo dell’ufficio tecnico Ludovico Straneo, che teme gravi conseguenze in occasione di nuove piene del Tanaro. Il tecnico chiede al sindaco Moro di rinunciare all’opera con una relazione tecnica del 18 agosto 1892 e una tabella, conservate nell’archivio storico comunale (depositato in Archivio di Stato), che si basano soprattutto su dati ricavati dalla piena del 1879. Dopo avere indicato quali vie potrebbero essere investite direttamente dalla piena e quali  rischierebbero di trovarsi con le cantine allagate, prospetta un ulteriore peggioramento nel futuro sulla base dei dati a disposizione che indicano una tendenza a una sempre maggiore pericolosità delle piene: «Le statistiche ufficiali tratte dalle osservazioni di antiche piene assegnano al Tanaro un maximum di portata di 1.700 metri cubi e di mille alla Bormida. Le più recenti misure fatte al Tanaro dall’Ufficio d’Arte, e per la Bormida dall’ufficio tecnico della nostra provincia accrescono quelle portate a 2257 metri cubi per il Tanaro ed a 3868 per la Bormida. È in pochi decenni un aumento del 33%  pel primo e quasi una quadruplicazione per la seconda».  

 

Il sindaco Moro però è deciso a portare avanti il progetto, appoggiato da una borghesia commerciale ansiosa di avere vie di comunicazione più efficienti. Il costo dell’opera è alto e cerca così di rivitalizzare il consorzio costituito a suo tempo dalla Deputazione provinciale ma incontra l’opposizione di parte degli altri comuni e infine deve accettare lo scioglimento imposto da un decreto del Ministero dei Lavori Pubblici.  

La decisione di costruire il nuovo ponte rende indispensabile costruire gli argini, operazione per la quale dopo l’alluvione del 1879 era stato costituito un consorzio il cui lavoro si era però arenato per il rifiuto dei privati di accettare le spese necessarie. Ora il Comune decide di rivitalizzarlo ma incontra l’opposizione dello Stato e della Provincia. Allora preferisce costituirne uno nuovo, incontrando il consenso dei privati. Avrà ancora dei problemi con l’Intendenza di Finanza e con il Demanio: con la prima nascerà una pendenza destinata a protrarsi per diversi anni e con il secondo si arriverà a un accomodamento solo a lavori ultimati. 

Nel 1893 viene dato l’appalto per il ponte alla ditta Borini e per l’arginatura all’impresa Giovanni Guerci e Castagnotti. Questa seconda parte dei lavori è già ultimata nel febbraio 1895. L’anno dopo si svolge il collaudo del ponte, venuto a costare all’amministrazione 430.892,22 lire.

Alberto Ballerino

Alberto Ballerino è giornalista professionista, redattore del bisettimanale ‘Il Piccolo’, presidente della Società di storia, arte e archeologia per le province di Alessandria e Asti e direttore responsabile del ‘Quaderno di storia contemporanea’, rivista dell’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria (Isral). Nel 2016, ha vinto il premio giornalistico ‘Franco Marchiaro’. Molte le sue pubblicazioni a carattere storico. ‘Nonsolonebbia. Teatro, cinema, vita culturale ad Alessandria’ (Falsopiano - Isral) ha vinto nel 2004 il V concorso nazionale ‘Guido Gozzano’ (sezione libro edito di storia e arte piemontese).

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