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I ricordi di Stefano Sesti, il bergamasco che, per 12 mesi, ha gestito l'emergenza a San Michele. Nel sobborgo ha ancora parecchi legami
SAN MICHELE – Stefano Sesti torna puntualmente da queste parti, perché lo invitano ai matrimoni. Si sposano bambini di allora. O anche figli di chi, in quel 1994, si è imbattuto nel ragazzo venuto da Bergamo per aiutare gli alluvionati di San Michele.
E quella che sarebbe dovuta essere una permanenza ridotta, è stata in realtà una presenza lunga un anno intero, durante il quale sono nate amicizie tutt’altro che evaporate. E i reiterati inviti a nozze lo confermano.
Stefano Sesti, classe 1972, famiglia di Zogno, nella Bergamasca, ora residente a Lecco con la compagna Rita, titolare di un’agenzia di assicurazioni e di una specializzata in pratiche auto, al tempo era volontario della Caritas ambrosiana di Milano, che, a tre settimane dal fatidico 6 novembre, lo mandò nel sobborgo di Alessandria. Con lui tre obiettori che, ogni settimana, lasciavano il posto ad altri tre. Lui no: non se ne andava. Era il punto fisso.
«Avevamo come riferimento la roulotte posizionata davanti all’oratorio parrocchiale – ricorda Stefano – Quello era il regno di Pier Giuseppe Rossi, comandante della Polizia municipale di Valenza. Era lui a darci le istruzioni. Per un mese, abbiamo spalato fango e provveduto a portare stufe e coperte, perché l’inverno era alle porte».
La svolta quando Rossi dovette rientrare in servizio: «Mi disse che avrei potuto e dovuto prendere il suo posto. Gli chiesi se fosse sicuro, sentendomi inappropriato a dirigere. Ma lui insistette spiegandomi di avermi ‘studiato’ e apprezzato il mio senso pratico, che poi è tipico di noi bergamaschi. E così accettai di mettermi in gioco. Io stavo nella roulotte, il più delle volte col parroco don ivo Piccinini, e impartivo ordini a 7-8 obiettori che, sempre da Milano, venivano a darci una mano».
«Durante i miei dodici mesi a San Michele – aggiunge – sarò tornato a casa quattro o cinque volte. C’era molto da fare, d’altronde. E’ stata un’esperienza forte, pesante ma molto arricchente dal punto di vista morale, tenuto comunque conto che si sta parlando di un disastro. Ho conosciuto gente che ha perso tutto ma che, animata dalla voglia di ripartire al più presto, ha mantenuto una dignità invidiabile. Mi stupivo nel constatare che chi, pur non avendo nulla, si prodigava per cercare di offrire un pasto agli obiettori. E poi c’erano gli stessi alluvionati che portavano aiuto a chi era nella loro stessa condizione, senza dimenticare gli Alpini e tutti quei muratori che, dopo il lavoro ordinario, trascorrevano ore al servizio degli altri».
Gli amici del temo sono rimasti e i matrimoni sono la prova provata. «Se mi invitano… be’, è tanta roba. Certo – aggiunge – i social aiutano a mantenersi in contatto e il resto lo fa il telefono”. I contatti più frequenti li ha con don Giuseppe Bodrati, all’epoca diacono a San Michele, ora parroco al Cristo: «Diciamola tutta, però: riuscire a trovare Bodrati è più complicato che ottenere un’udienza in Vaticano».
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