IL RACCONTO
Dalla tragedia del 1994 la forza di costituire una struttura oggi invidiata in Italia e all’estero
«Il 1994, per la Protezione civile alessandrina, fu letteralmente l’anno zero»: Andrea Morchio, attuale coordinatore provinciale, in quei tragici giorni veniva ad Alessandria con mezzi di fortuna – «e una pala» – per dare una mano.
«Trent’anni fa – aggiunge – l’intero sistema di Protezione civile regionale era nullo. Certo, c’era qualcosa in capo alle Prefetture ma nulla più. Tant’è che l’alluvione di Alessandria venne fronteggiata, almeno nei primi momenti, con l’Esercito: all’epoca, infatti, la Valfrè era operativa, Casale idem e avevamo decine e decine di militari di leva a disposizione. Oltre a strutture pronte e operative, tende, materiali, badili…».
C’erano però dei Gruppi di altre parti d’Italia che vennero a dare una mano:
«Pochi, ma c’erano. Ricordo ad esempio i Volontari del Garda della Regione Lombardia, che erano molto organizzati. E chi come me voleva provare a dare una mano spalando del fango o ripulendo delle case, trovava in tutti loro una sponda sicura».
Come nasce, quindi, la realtà alessandrina?
«Un nome solo: Marco Bologna. Fu lui, addirittura nel 1992, a fondare a Piovera il primo piccolo coordinamento. E fu una fortuna, perché nonostante la situazione critica del Tanaro, grazie all’esperienza comunque accumulato riuscirono, in paese, a limitare i danni. Così, anche grazie alla collaborazione dell’allora prefetto Gallitto, ci si impegnò per la creazione di un Gruppo provinciale. Che, oggi, è un fiore all’occhiello del nostro territorio e interviene ovunque ci sia bisogno, in Italia e all’estero».
Qualcuno dice che voi siate i più bravi d’Italia…
«Io dico semplicemente che la Protezione civile del Piemonte è la più preparata forse d’Europa – risponde Morchio – Quando abbiamo fatto le esercitazioni secondo il Modulo europeo, ci siamo interfacciati con professionisti, perché in altri Stati dell’Unione chi fa Protezione civile lo è. Come fossero i nostri Vigili del Fuoco, gente che lo fa di mestiere h24, per intenderci. Noi, al contrario, siamo volontari: per dare un’idea, oggi la Protezione civile in Piemonte conta zero dipendenti. Ce ne sono tre solo nella struttura regionale, così da adempiere a tutta la parte burocratica e legale, ma l’operatività è costituita esclusivamente da volontari. Ed è un orgoglio».
Impossibile, quindi, non fare due chiacchiere anche con Marco Bologna:
«Vedere tutta quella gente, nel 1994, arrivare ad Alessandria da ogni parte d’Italia per dare una mano, ci ha lasciato dentro la voglia e il desiderio di restituire quegli aiuti, qualora ce ne fosse stato bisogno. Oltre che impegnarsi ogni giorno dell’anno per far sì che quei disastri non possano più ripetersi».
L’anima della Protezione civile alessandrina, colui che prima di tutti gli altri capì cosa stava per accadere trent’anni fa, ricorda con precisione il punto di svolta:
«Qualche mese dopo l’alluvione, in città arrivò un nuovo prefetto. Si chiamava Vincenzo Gallitto ed era un esperto di Protezione civile. Fu lui a toccare le corde giuste per stimolare l’entusiasmo delle tante persone che, all’epoca, volevano occuparsi di difesa del territorio e soccorso alle popolazioni colpite da eventi naturali, e non solo».
Quali furono i primi passi?
«Gallitto insistette per la creazione dei Gruppi comunali di Protezione civile, affinché i sindaci stessi si potessero rendere conto cosa significa essere in prima linea in caso di emergenza. Istituì poi i Centro operativi misti (Com), raggruppando i Comuni a seconda delle priorità e con un capofila. E puntò, come noi facemmo a Piovera fin dal 1992, sulle radio, in grado far comunicare i vari enti anche in caso l’acqua – come nel 1994 – spazzasse via ogni altra linea».
Si cominciò pure a parlare di prevenzione…
«E spuntarono, sembra incredibile dirlo, le prime aste graduate sui fiumi. Di conseguenza, tra la determinazione del prefetto Gallitto e l’entusiasmo dei volontari, oltre alla disponibilità di mezzi che avevamo grazie alla presa in carico di quelli dell’Esercito e ad alcune donazioni, partimmo».
Quale fu la prima occasione per mettersi alla prova?
«Fu drammatica – risponde Bologna – Parliamo dell’alluvione del 2000 a Casale e nel Monferrato, dove però il meccanismo delle evacuazioni funzionò bene e non ci furono vittime. Noi partecipammo addirittura con 5 anfibi, recuperati dai depositi dell’Esercito americano: mezzi utilissimi per raggiungere le vie della città allagate e portare al sicuro gli abitanti. In quell’evenienza, oltretutto, ci coordinammo pure con il Gruppo di Pronto intervento della Protezione civile tedesca, la Thw.
Per tutti noi, un’altra esperienza fondamentale per far tesoro della professionalità degli altri che peraltro ci portò a superare i soliti campanilismi, che possono essere la fine anche delle iniziative più belle, decidemmo di costituire un unico Coordinamento regionale, unendo le forze di tutte le province, realizzando una sola Colonna mobile cui far arrivare i mezzi di ogni realtà provinciale. Eccola, per me, la chiave di volta di un intero sistema che oggi ci invidiano dall’Italia intera e non solo».
I numeri attuali della Colonna mobile sono importantissimi. E i volontari sono sempre i primi a partire quando c’è bisogno: alluvioni in Toscana, terremoto e alluvioni in Emilia Romagna e terremoto in Turchia sono solo gli ultimi esempi:
«Contiamo su 400 mezzi e 2.000 volontari formati. Abbiamo aliquote in tutte le province in grado di mobilitarsi in poco tempo e di raggiungere località colpite da calamità in Italia e anche all’estero. Questo sistema voluto dalla Regione Piemonte, con la collaborazione delle Province e dei Comuni centri zona e l’aiuto delle Fondazioni bancarie (Crt in particolare a livello regionale, Cra in primis per noi di Alessandria), è un sistema che ci invidiano molti.
E, all’atto pratico, ha saputo reggere alle prove più difficili. La sintesi è un altissimo livello di professionalità, coniugato a una dotazione di mezzi la più moderna possibile e alla capacità di contatto con la popolazione. Un fattore che troppo spesso viene trascurato, ma io ricordo sempre che la cosa più importante nel mezzo di un intervento di soccorso è ridare fiducia a chi in quel momento sente di aver perso tutto. A volte il solo sorriso del volontario, accanto al lavoro effettuato, può ridare fiducia a chi è stato piegato dalla natura e dagli eventi. E questo è lo scopo principale di una struttura di Protezione Civile».
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